Nelle aree 25 e 32 cause cerebrali di mortalità cardiaca
GIOVANNI ROSSI
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 13 maggio 2017.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La schematica e rassicurante concezione della
neurologia classica, che riconosceva un cervello cognitivo neocorticale in
connessione preferenziale con l’afferenza talamica e l’uscita motoria, ben
distinto dal cervello emotivo costituito dal sistema limbico e dal controllo
ipotalamico delle funzioni vegetative, è ormai un lontano ricordo relegato ai
paragrafi dei “cenni storici” delle trattazioni di neurofisiologia. Ma l’emergere
della complessità organizzativa, costituita da reti interconnesse o
parzialmente condivise, microcircuiti e macrosistemi varianti al variare della
forza di connessione, con interazioni costanti fra i livelli molecolare,
cellulare e sistemico, non consente ancora di definire nuovi modelli schematici
del rapporto fra neuroanatomia e neurofisiologia. Siamo perciò chiamati a
registrare, di volta in volta, i nuovi dati, sperando che possano costituire le
tessere di un mosaico che si completi nell’arco di questa generazione.
Fino a qualche decennio fa era impensabile che si
studiasse la corteccia cerebrale per comprendere aspetti fisiopatologici dei
disturbi cardiovascolari; negli anni recenti sono stati condotti studi sulla
funzionalità dei territori corticali in rapporto col rischio o con l’evoluzione
di patologie che interessano cuore e vasi. Le sindromi e le condizioni
disfunzionali che in psichiatria sono tradizionalmente etichettate col termine
“affettive”, perché caratterizzate da alterazioni qualitative e quantitative
dei processi che definiscono lo stato interno (affectus) in rapporto
all’esperienza del mondo, sono associate ad una maggiore frequenza di emozioni
negative e ad una più elevata mortalità cardiovascolare. Gli studi mediante neuroimaging funzionale di tali disturbi
hanno rivelato alterazioni della regolazione in numerose regioni del lobo
frontale del cervello, in particolare in una piccola area subgenuale
visibile sulla superficie mediale degli emisferi (area 25 di Brodmann) e in un
territorio perigenuale più esteso, corrispondente
alla circonvoluzione frontale posta anteriormente al giro del cingolo (area
32). Si è ipotizzato un ruolo causale di questo disturbo del regime funzionale
ordinario, ma la verifica sperimentale di tale ipotesi si è rivelata molto
difficile, soprattutto a motivo dell’impossibilità di realizzare modelli
sperimentali murini realmente equivalenti sulla base delle ipotetiche omologie
funzionali della loro corteccia cerebrale con quella umana.
Chloe Wallis e
colleghi, in uno studio presentato da Robert Desimone del Massachusetts Institute of Technology (MIT), hanno dimostrato nel marmoset, una scimmia del nuovo mondo
che presenta significative omologie cerebrali con la nostra specie, che la
disattivazione dell’area 25 accresce la modulazione parasimpatica della
funzione cardiovascolare a riposo e riduce i correlati cardiovascolari e
comportamentali delle emozioni negative. In contrasto, disattivando l’area 32,
i ricercatori hanno registrato un marcato aumento di questi correlati. In altri
termini, lo studio ha dimostrato che l’area 25 di questi primati promuove
azioni fisiologiche del segno dei correlati neurovegetativi delle emozioni
negative, inclusi gli effetti cardiovascolari, mentre l’area 32 promuove una
fisiologia di segno opposto. Wallis e colleghi riportano in tal modo la
sintomatologia cardiovascolare legata ai disturbi d’ansia, depressivi o
bipolari, non ad una disfunzione periferica ma alla perdita di una regolazione
fisiologica cerebrale.
Lo studio, che apre la via ad un filone di ricerca
di estremo interesse, merita qualche riflessione più dettagliata, che sarà
proposta qui di seguito.
(Wallis C. U., et al. Opposing roles of primate areas 25 and 32 and
their putative rodent homologs in the regulation of negative emotion. Proceedings of the National Academy of
Sciences USA - Epub ahead of print doi:10.1073/pnas.1620115114, 2017).
La provenienza
degli autori è la seguente: Department of Physiology, Development and
Neuroscience, Department of Psychiatry, Behavioural
and Clinical Neuroscience Institute, University of Cambridge, Cambridge (Regno Unito); Liaison Psychiatry
Service, Cambridge and Peterborough National Health Service Foundation Trust,
Cambridge (Regno Unito).
Edited by Robert Desimone, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge,
Massachusetts (USA).
Ricordiamo, a proposito dei criteri in base ai quali
si definiscono e si distinguono le aree della nostra corteccia cerebrale,
qualche nozione di base.
Per un’introduzione sulla struttura della corteccia
cerebrale umana si rimanda alla nota della scorsa settimana sul trascrittoma
della corteccia[1].
Le aree della corteccia cerebrale umana sono state
storicamente distinte in base a caratteristiche istologiche rilevate mediante
microscopia ottica e specificate in dettaglio seguendo due criteri morfologici
principali: il mieloarchitettonico,
che assume come riferimento la disposizione delle fibre mieliniche, e il citoarchitettonico focalizzato sui corpi
cellulari dei neuroni. La variazione regionale principale è quella definita
dalla transizione dalla tipica corteccia esalaminare, di più recente comparsa
nella storia evolutiva delle specie animali, alla più sottile struttura a due
strati di neuroni, di antichissima comparsa nella filogenesi. Brodmann, per
sottolineare il valore di questa interpretazione evoluzionistica, denominò neopallio la corteccia a sei strati
tipica del cervello umano[2], dove
è rappresentata nella maggior parte della superficie, e archipallio le parti più sottili, costituite da uno strato profondo
di cellule piramidali ed uno superficiale di granuli, tipiche dell’ippocampo ed
accostate alle formazioni omologhe del cervello dei rettili[3]. Vogt
e von Economo chiamano isocortex il
neopallio ed allocortex
l’archipallio.
Le altre variazioni regionali, sulle quali si è
basata la costituzione delle mappe della corteccia, consistono soprattutto in
cambiamenti nella dimensione delle cellule, nel modo in cui sono aggregate e
nella variazione di spessore relativo dei singoli strati.
Per la delimitazione dei campi corticali sono stati
adoperati vari sistemi, il più antico dei quali è il metodo mielogenetico di Flechsig. Questo
metodo segue l’evoluzione della mielinizzazione: man mano che il cervello
cresce in complessità, le fibre rivestite di mielina oligodendrocitica
divengono sempre più numerose. Il piano seguito dalla mielinizzazione durante
lo sviluppo procede per sistemi, ossia completa, di volta in volta, ciascun
macrosistema neuronico. È su questa base che Flechsig
creò la distinzione fra aree corticali di
proiezione ed aree corticali di
associazione. Tale distinzione è ancora impiegata, anche se oggi si sa che
non deve considerarsi assoluta, come si credeva a quel tempo, ma riferita ad un
carattere prevalente.
Il metodo
palliometrico si basa soprattutto sul rilievo di differenze nello spessore
corticale. Il metodo mieloarchitettonico,
che definisce i campi corticali secondo Vogt, rileva la variazione di
disposizione delle fibre mieliniche tenendo conto dei seguenti tre elementi: le
due strie di Baillarger, il numero delle lamine tangenziali e il grado di penetrazione
delle fibre radiate. Combinando i metodi palliometrico e mieloarchitettonico,
Vogt realizzò una mappa corticale in 180 campi.
Il metodo
citoarchitettonico, che rimane il più importante, oltre che sulla
caratterizzazione in strati per la quale si rimanda nuovamente alla nota
pubblicata la scorsa settimana, si è basato su questi criteri introdotti da von
Economo:
1) densità
cellulare;
2)
variazioni di spessore dei singoli strati in rapporto allo spessore totale
della corteccia;
3)
modificazione di volume e numero per uno stesso tipo (forma) di cellula
nervosa;
4)
orientamento delle cellule in rapporto alla disposizione radiale.
Con il metodo citoarchitettonico Brodmann ha
ripartito la corteccia cerebrale umana in 48 campi[4];
sulla base degli altri quattro criteri elencati, von Economo è giunto a
riconoscere 109 aree.
Tornando al lavoro qui recensito, ricordiamo che
questa osservazione sperimentale origina dagli studi che hanno rilevato nei
disturbi d’ansia, nella depressione e in altri stati psicopatologici che
interessano principalmente la sfera affettiva ed emotiva, una riduzione della
variabilità fisiologica della frequenza cardiaca (HRV, da heart rate variability) ed una maggiore quota
di mortalità da cause cardiovascolari. È stato osservato e dimostrato uno
stretto rapporto fra questi disturbi e la disfunzione di territori della
corteccia prefrontale ventromediale (vmPFC, da ventromedial prefrontal cortex),
in particolare l’area 25 e l’area 32 di Brodmann, ma una relazione causale non
è stata dimostrata fino allo studio di Chloe Wallis e
colleghi. La mancata verifica si spiega con la doppia difficoltà di non poter
sperimentare direttamente sull’uomo e non avere dei modelli sperimentali nei
roditori con un’omologia corticale precisa e sicura. In particolare, la
traduzione trans-specifica è stata ostacolata dall’esito di studi sui roditori,
basati su esperimenti di estinzione della paura, che risultavano assolutamente
in contrasto con un quadro di omologia con le funzioni regionali della
corteccia cerebrale umana, rilevate mediante lo studio in risonanza magnetica
funzionale (fMRI, da functional magnetic resonance imaging) dei correlati corticali delle
emozioni negative.
Nel tentativo di riconciliare i dati in contrasto, i
ricercatori hanno impiegato un approccio sperimentale centrato sulle
interazioni cervello-corpo quale nucleo principale della de-regolazione
funzionale alla base delle emozioni negative. La scelta del primate è stata di
importanza decisiva.
Marmoset, reso
talvolta in italiano con marmosetta,
è il nome di 22 specie di scimmie del Nuovo Mondo della famiglia delle Callitricine,
appartenenti ai generi Callithrix,
Cebuella, Callibella e Mico; è
considerata marmoset anche la
scimmietta di Goeldi (Callimico goeldii). Sono piccole e spesso
graziosissime bestiole, con un grado di evoluzione nell’ambito dei primati
superiore a quanto farebbe supporre la piccola taglia, e con elementi di
vicinanza alla biologia umana tali da averne fatto spesso oggetto di ricerca e
modello sperimentale. L’omologia corticale con la nostra specie, in particolare
nella vmPFC, è notevole.
Chloe Wallis e
colleghi hanno dimostrato che nel marmoset
le aree 25 e 32 hanno funzioni contrapposte che svolgono un ruolo causale nella
regolazione dei correlati cardiovascolari e comportamentali delle emozioni
negative. In nuovi paradigmi pavloviani di condizionamento della paura e di
estinzione, l’inattivazione farmacologica dell’area 25 delle scimmie riduceva i
correlati neurovegetativi e comportamentali dell’attesa dell’esperienza emotiva
negativa, mentre la disattivazione dell’area 32 aumentava i correlati di
attività del sistema nervoso autonomo mediante una generalizzazione. La
disattivazione dell’area 25 aumentava anche lo stato di riposo del parametro
cardiaco HRV. In altri termini, mancando l’attività dell’area 25 si aveva una
prevalenza dell’effetto dell’area 32 consistente, fra l’altro, in un aumento
dell’azione cardiomoderatrice del parasimpatico e in
una riduzione della funzione ortosimpatica acceleratrice della frequenza e
della forza del battito cardiaco.
Questi risultati sono in contrasto con le teorie
correnti sulla similitudine funzionale fra la corteccia cerebrale dei primati e
quella dei roditori, e forniscono una specifica nuova conoscenza sul probabile
ruolo di queste regioni cerebrali nella psicopatologia dei disturbi affettivi e
da stress. Dimostrano, infatti, che
l’ipoattività dell’area 32 delle scimmie, morfo-funzionalmente omologa della
corrispondente area corticale umana, causa una generalizzazione comportamentale
equivalente allo stato fisiopatologico dell’ansia,
il “dolore della psiche” che caratterizza quei disturbi un tempo descritti
nella categoria nosografica delle nevrosi,
caratterizzati dall’iperattivazione dei sistemi neuroendocrini dello stress e spesso evolventi in stati
depressivi. E sulla base di questi risultati si può dedurre che l’area 25
rappresenta un nodo causale che
governa i processi alla base della sintomatologia cardiovascolare ed emotiva
tipica dei disturbi d’ansia e depressivi.
L’autore della nota ringrazia la
dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla
lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE
E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
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[1] Note e Notizie 06-05-17 Il trascrittoma della corteccia cerebrale.
[2] Brodmann suggerì anche di denominare omotipica la corteccia a sei strati ed eterotipica quella che presenta negli strati intermedi fra il primo e il sesto delle variazioni significative, quali la scomparsa del quarto strato nell’area motoria e la sua suddivisione in tre zone secondarie nell’area visiva della regione calcarina.
[3] La netta distinzione evoluzionistica fra neopallio e archipallio è venuta a cadere con le moderne tecniche di esame, che hanno consentito di evidenziare in specie filogeneticamente primitive gruppi di neuroni con caratteristiche neopalliali.
[4] Lo studio della corteccia dell’orango e del gibbone, due primati molto vicini filogeneticamente alla nostra specie, ha consentito di riconoscere, con gli stessi criteri, 40 aree corticali, in molti casi corrispondenti a quelle umane.